Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XXII – 01 febbraio 2025.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Scoperto un circuito dell’insula che media la risposta immune condizionata. Il cervello ha evoluto la capacità di coordinare risposte immunitarie e comportamentali per proteggere il corpo dalle infezioni. La CIR, o risposta immune condizionata, è una forma di apprendimento pavloviano in cui uno stimolo sensoriale, ad esempio il sapore di uno stimolo gustativo, quando associato a un agente immunomodulatore, evoca un comportamento di avversione e una risposta immunitaria anticipatoria dopo aver riesperito il gusto. Si ricorda che la valenza del gusto è rappresentata nell’insula anteriore, mentre la risposta immune in quella posteriore. Haneen Kayyal e colleghi hanno identificato un circuito bidirezionale che collega l’insula anteriore a quella posteriore e media la CIR nel topo.

Questo nuovo circuito contribuisce a preservare l’omeostasi immunitaria dipendente dal cervello. [Cfr. Nature Neuroscience – AOP doi: 10.1038/s41593-024-01864-4, 2025].

 

Malattia di Parkinson: LAG3 può essere un nuovo bersaglio terapeutico. LAG3 (lymphocyte activation gene 3) è un recettore chiave per la propagazione di proteine patologiche nella malattia di Parkinson, Xiuli Yang e colleghi ne hanno esplorato il ruolo nei neuroni, nella mediazione di legame, captazione e propagazione delle fibrille preformate (PFF) di α-sinucleina. I risultati dello studio confermano la funzione essenziale di LAG3 per la propagazione dell’α-sinucleina e delle alterazioni associate, identificando LAG3 come potenziale bersaglio nella terapia del Parkinson e di altre sinucleinopatie. [Cfr. bioRxiv – AOP doi: 10.1101/2025.01.03.631221, Jan. 3, 2025].

 

Malattia di Parkinson: ruolo della propagazione dal rene al cervello dell’α-sinucleina. Xin Yuan e colleghi hanno rilevato che il rene può agire da sito di partenza per il processo di diffusione dell’α-sinucleina patologica al cervello; e una funzione renale compromessa sembra contribuire alla patogenesi delle malattie a corpi di Levy, incluso il Parkinson. [Cfr. Nature Neuroscience – AOP doi: 10.1038/s41593-024-01866-2, 2025].

 

Su oltre 130 milioni di persone: antibiotici e altri farmaci riducono il rischio di demenza. Antibiotici, antivirali, vaccini e anti-infiammatori sono associati a un ridotto rischio di demenza in uno straordinario campione di oltre 130.000.000 di individui, indagati in 14 studi analizzati da ricercatori delle Università di Cambridge ed Exeter. Questo risultato supporta il legame di una quota rilevante di casi di demenza alle infezioni batteriche e virali. Anche anti-infiammatori come l’ibuprofene riducono il rischio, probabilmente riducendo gli effetti diretti o indiretti dei processi infiammatori sul cervello. [Cfr. Underwood B. R. et al. Alzheimer’s & Dementia 11 (1): e70037, 2025].

 

Pochi minuti di esercizio motorio quotidiano molto intenso danno benefici alle donne. Un esercizio estremamente vigoroso e concentrato in una durata circoscritta, come una sessione di tiro alla fune, eseguito ogni giorno, si è dimostrato in grado di prevenire emergenze cardiache acute e numerose altre patologie cardiovascolari nelle donne. Si tratta di una pratica sconsigliata però a persone anziane, soprattutto se affette da patologie cardiovascolari, cerebrovascolari o croniche di altro genere, in quanto gli sforzi massimali in queste persone possono causare scompensi; pertanto, qualora sussista una necessità, dovranno essere preceduti da un training ad hoc professionalmente guidato e adattato alla singola persona. [Fonte: British Journal of Sport Medicine, Jan. 2025].

 

Scimpanzé: la minzione contagiosa rilevata in 1300 urinate in 600 ore di osservazione. Shinya Yamamoto, della Kyoto University in Giappone, è stata la prima studiosa del comportamento animale a documentare l’effetto contagioso dell’atto dell’urinare in una specie animale, in questo caso lo scimpanzé (Pan troglodytes). Vedere un membro della propria specie, in un gruppo di 20 scimmie, in uno di quelli che chiamano wildlife sanctuary, induceva subito gli altri a imitarlo; in particolare, le più solerti nell’imitazione sono le scimmie di più basso livello sociale. L’osservazione di oltre 600 ore, condotta in compagnia di Ena Onishi, ha rivelato questo curioso comportamento – che fa pensare alle file per la toilette dei bar nelle località turistiche – in oltre 1300 minzioni collettive. Onishi fa notare che la loro “scoperta” è avvenuta grazie al fatto che vi hanno pensato: in Giappone esiste uno specifico termine per indicare il comportamento sociale di urinare in compagnia di altre persone: “Tsureshon”. Così hanno voluto verificare se la minzione, come lo sbadiglio, fosse contagiosa fra gli scimpanzé. [Cfr. E. Onishi et al. Contagious urination in chimpanzees. Current Biology – AOP doi: 10.1016/j.cub.2024.11.052, Jan. 20, 2025.].

 

La genetica risolve un rompicapo: la talpa australiana è in realtà un marsupiale. Il comportamento complicava il quadro dell’enigmatica e dibattuta appartenenza tassonomica: la talpa australiana è una creatura sotterranea molto simile alla golden mole del Sud Africa, ma la genetica ha rivelato una parentela più stretta con i canguri che con le talpe. [ScienceNews, Jan. 23, 2025].

 

Dai circuiti alla durata della vita: una nuova comparazione tra uomo e topo. L’osservazione del topo e i modelli murini per lo studio sperimentale delle malattie sono stati alla base di numerosissime scoperte che hanno contribuito alla conoscenza della biologia umana e al trattamento di malattie incurabili. Allo stesso tempo, e particolarmente per lo studio neuroscientifico del cervello, si sono sempre avvertiti i limiti di questa “base comparata”, soprattutto a causa di una miriade di piccole differenze mai misurate e definite con precisione. La diacronia di sviluppo del sistema nervoso centrale umano è ben nota, ma la sua equivalenza con la timeline del topo è ancora parziale e approssimativa. Basti pensare che nelle specie murine la mielinizzazione delle vie di associazione olfattive è a lungo ritardata per l’importanza dello sviluppo qualitativo dell’olfatto a fine di sopravvivenza, ma tale delay non ha equivalente umano e, fino a oggi, non era stato misurato con precisione.

Nicolas C. Cottam e colleghi hanno condotto uno studio per colmare questa lacuna rilevando, ad esempio, che topini di 3-4 giorni (P3-4) hanno equivalenza umana GW24, mentre un topo P60 equivale a un teenager umano. Nel dettaglio del loro studio, si trovano interessanti e utili comparazioni dello sviluppo cerebrale. [Cfr. Journal of Neuroscience: e1429242025, 27 Jan. 2025].

 

L’opposizione tra filosofia e religione è parte di un’oscillazione ciclica della mente collettiva. La conoscenza basata sull’esercizio dell’intelletto (filosofia) e la fede in una eterna realtà soprannaturale (religione) originano da due istanze essenziali della nostra mente e, pertanto, sono destinate a permanere nella storia umana. Mentre in seno ai filosofi prevale in ogni epoca la tesi che considera il pensiero filosofico un’espressione più evoluta della mente collettiva che ha superato la passività delle credenze religiose, presso gli storici si è fatta strada da tempo la tesi che il prevalere nelle società e nella cultura di uno dei due atteggiamenti mentali rappresenti una fase di un’alternanza ciclica, che va avanti dall’antica Grecia e proseguirà in futuro. Leggiamo questa suggestiva sintesi nella Storia della civiltà greca dal 3500 al 146 a.C. di Will Durant:

“Il conflitto tra religione e filosofia aveva ormai conosciuto tre diversi stadi: l’attacco alla religione dei pre-socratici, il tentativo di sostituire la religione con l’etica naturale, come in Aristotele ed Epicuro, e il ritorno alla religione degli Scettici e degli Stoici: un movimento, questo, che culminò col neo-platonismo e la cristianità. Un simile processo si era verificato più di una volta nella storia e non è improbabile che anche oggi si stia svolgendo nell’attuale società. Talete trova riscontro in Galileo, Democrito in Hobbes, i Sofisti negli enciclopedisti, Protagora in Voltaire, Epicuro in Anatole France, Pirrone in Pascal, Arcesilao in Hume, Carneade in Kant, Zenone in Schopenhauer, Plotino in Bergson”[1]. [Fonte: Seminario Permanente sull’Arte del Vivere, BM&L-Italia, febbraio 2025].

 

La mente degli amanuensi: una finestra su alcune realtà misteriose della vita medievale (prima parte). L’Alto Medioevo, se declinato nei termini degli eventi bellici e politici, secondo il filo prevalente nello studio scolastico della storia, non presenta aspetti particolarmente oscuri o di difficile interpretazione, soprattutto alla luce di nozioni chiave sull’evoluzione delle istituzioni e della vita civile nella transizione dall’epoca romana a quella cristiana. Ma, quando cerchiamo di comprendere atteggiamenti e comportamenti inconsueti e privi di riscontro in altre epoche storiche, risulta evidente che manchiamo di conoscenze essenziali per immaginare il modo di sentire e pensare degli interpreti di quel tempo; oppure pecchiamo nell’esercizio di applicazione di paradigmi che pur possediamo.

Ci è stato detto che il nostro ciclo di scritti sulla mente medievale, oltre ad aver arricchito la conoscenza su tanti aspetti della vita di quel tempo affrontati in chiave storica dai grandi medievalisti, ha suggerito nuovi paradigmi per l’interpretazione dei modi di pensare e concepire la realtà da parte delle persone di quell’epoca; ma è stato anche osservato che in alcuni casi non è sufficiente disporre di nuovi strumenti interpretativi, è necessario cimentarsi nell’uso di tali mezzi e dimostrarne l’utilità euristica. In realtà, le analisi proposte nei nostri scritti sotto la supervisione di Monica Lanfredini, non erano intese come un lavoro compiuto, ma quale parte di un work in progress in cui studiosi di ambito storico-filosofico proponevano all’attenzione di neuroscienziati, esperti di psicologia e stili mentali del pensiero, le loro riflessioni interpretative quali bozze di possibili lavori multidisciplinari. Sia pure come fase iniziale, quegli scritti costituivano un esercizio di impiego dei nuovi strumenti d’interpretazione e, sebbene non lo si sia esplicitamente dichiarato, si dava per implicito che il lavoro sarebbe proseguito, non per dimostrare qualcosa in particolare ma per affinare e perfezionare i mezzi e i modi di questo rinvenimento di senso dalla memoria scritta di fatti del passato. La presente “notula” può considerarsi in ideale prosecuzione di quegli studi e coerente con questo fine.

Premessa la centralità culturale dei monasteri e premesso che lo stile di vita dei monaci costituiva un modello anche per i laici, oggi ci interroghiamo su una figura enigmatica di quell’epoca: l’uomo silenzioso.

Per avere un’idea, non tanto del valore funzionalistico in termini sociali quanto della dimensione del vissuto personale dietro l’assunzione della missione del tacere, è necessario sapere dell’esistenza di un esercizio di volontà espresso nell’obbligare sé stesso a rimanere muto nelle più disparate circostanze della vita per raggiungere un più alto grado di ascesi spirituale. Questo esercizio del “buon cristiano” derivava da una pratica monastica focalizzata su due momenti in cui si metteva in pratica l’obbligo mutacico: la lettura in mente compiuta in assoluta solitudine, e la preghiera dello spirito, in cui la mente si rivolgeva a Dio senza alcuna parola, in prosecuzione dello stato spirituale della meditazione.

Lo scopo di queste pratiche silenziose è, secondo Sant’Agostino, “coltivare l’uomo interiore”. Michel Rouche, dopo aver esposto i capisaldi della regola benedettina, così illustra questo punto: “Il nono grado di umiltà per il monaco – recita sempre la Regola – consiste nell’impedire alla propria lingua di parlare e, nel mantenere il silenzio, parlando solo se interrogato”[2]. “I monaci devono rispettare il silenzio in ogni momento ma soprattutto durante le ore della notte”[3]. “Uscendo da compieta, finisce il permesso di dire qualsiasi cosa a chiunque”[4].

Ma la virtù del silenzio, che non faceva parte dei valori cristiani evangelici, dovrebbe essere considerata più uno strumento, accanto a tanti altri, per il raggiungimento della perfezione, secondo l’esortazione di Gesù “Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei cieli”, che un “valore in fieri” come ipotizza Michel Rouche. Tuttavia, sull’esercizio del silenzio, scrive Rouche: “San Benedetto giunge a pretenderlo talvolta con toni severi ed irritati, in quanto ai suoi occhi esso è essenziale perché si arrivi con «spirito avido» (concupiscentia spiritualis) a desiderare la vita eterna”[5].

È interessante notare che alcuni ritengono il silenzio importante nell’edificazione dell’uomo nuovo, ossia il convertito cristiano: “Il seguito che ebbero monaci famosi come Bonifazio, Benedetto d’Aniane, Oddone di Cluny, testimonia appunto la nascita di questo uomo nuovo, che solo apparentemente è debole e solo, ma che invece è forte perché ha saputo affrontare il silenzio”[6].

La conoscenza di questo modo particolare di concepire il tacere e praticarlo per la salvezza dell’anima, ci consente di far luce sulle tante figure enigmatiche che prendevano parte alla vita cittadina in perfetto anonimato, in un’epoca in cui non esistevano gli attuali documenti di identità e la possibilità di identificare uno sconosciuto di passaggio era affidata alle sue dichiarazioni. Non era raro che nobili, ricchi mercanti o possidenti si mescolassero alla gente della città camuffati o nascosti dalla veste di arciconfraternite, che prevedevano cappucci a copertura integrale celante il volto, per andare a svolgere opera di servizio del prossimo gratuita e anonima, a scopo penitenziale, per la salvezza della propria anima. A volte stranieri, visitatori o pellegrini, veri o falsi, con la giustificazione del silenzio penitenziale, partecipavano in incognito a opere strategiche, attività politiche e alleanze armate, in quelle lotte tra famiglie portate dai barbari nel costume di quei popoli che erano stati ellenizzati dai Romani.

Un modello esemplare di uomo solitario che realizza nell’operosità silenziosa la sua offerta spirituale è l’amanuense.

Lo studio di questi straordinari personaggi che copiavano, traducevano, miniavano, ornavano, ma soprattutto studiavano le grandi opere in un regime di appartato silenzio, è cominciato dall’analisi di annotazioni di carattere personale che gli amanuensi facevano al termine del lavoro, sul foglio dedicato al colophon. Erano come frammenti di un diario personale, che dicevano di sofferenze, solitudine, difficoltà nel lavoro senza possibilità di aiuto.

Leggiamo Michel Rouche sull’amanuense: “Questo monaco è uno dei protagonisti meno conosciuti della storia: lui non gode, come i suoi confratelli, della sala comune del convento, e approfitta degli spazi bianchi sul colophon dei manoscritti, per scrivervi lamentandosi che ha freddo, che l’ora del pasto è ancora lontana, che l’inchiostro gela nel calamaio. Alla fine dell’Antichità il suo compito era stato facilitato perché si era abbandonato il rotolo di papiro e si era adottato il codex, il libro insomma, di cui noi ancora oggi giriamo le pagine, che allora erano in pergamena. Fu un’invenzione che comportò fondamentali conseguenze di tipo psicologico. Permise di fare a meno di uno schiavo lettore quando si dovevano prendere appunti. Si poteva studiare tenendo il testo con una mano e scrivendo con l’altra. Queste due azioni, la lettura e la scrittura, rese ormai simultanee, accrescono la possibilità di leggere mentalmente, che sembra sia divenuto un uso abbastanza comune presso i Carolingi, e permettono l’instaurarsi di un dialogo interiore fra il testo e il lettore. Oltre a favorire la meditazione, il codex rende molto più facile copiare un testo e collazionarne parecchi esemplari alla volta”[7].

Anche se gli amanuensi avevano potuto giovarsi del passaggio epocale dal rotolo al libro, bisogna dire che il loro lavoro in convento, collocato in un quadro di servizio spirituale e di espiazione cristiana, era concepito in maniera molto diversa dall’attività dei copisti occasionali e degli scribi di professione del mondo ellenistico: doveva creare valore artistico e culturale e, soprattutto, contribuire alla conversione e alla salvezza dell’anima di quante più persone possibile. Gli amanuensi non lavoravano per un padrone o per un profitto, ma direttamente per il Signore.

Lavoravano per l’anima di tutti coloro che avrebbero letto, ma non potevano avere riscontro di apprezzamento o gratitudine dai lettori, dovevano essere come il Nistar, il “giusto nascosto” degli antichi Ebrei: occultati alla vista del mondo e silenziosi perché solo la loro anima parlasse a Dio. Intanto, lavoravano per creare, con la cultura condivisa, quell’immaginario collettivo su cui l’anima di ciascuno avrebbe tessuto il senso della propria vita.

Riprendiamo la lettura: “Ma, detto questo, il lavoro dell’amanuense era molto stressante. Anche quando erano in tanti nella stessa sala, era necessario che osservassero obbligatoriamente il silenzio per meglio concentrarsi, Il libro, o il rotolo da ricopiare, era sistemato su un pulpito e l’amanuense utilizzava una penna ricavata da un pezzo di canna fesso a un’estremità; più spesso, presso i Carolingi, si usava una piuma d’uccello e si scriveva o sulle ginocchia o su una panca o su un tavolo. Preliminarmente, era necessario tracciare a punta secca linee e tratti verticali per determinare i margini e le colonne”[8].

 

[continua]

 

Notule

BM&L-01 febbraio 2025

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Will Durant, Storia della civiltà (32 voll.) – La Grecia (3 voll.), vol. III, p. 224, Edito-Service, Ginevra, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1966.

[2] Philippe Aries & Georges Duby (a cura di), La Vita Privata dall’Impero Romano all’anno Mille, p. 411, Edizione CDE, Milano 1986.

[3] Philippe Aries & Georges Duby, op. cit., p. 411.

[4] Philippe Aries & Georges Duby, op. cit., idem.

[5] Philippe Aries & Georges Duby, op. cit., idem.

[6] Philippe Aries & Georges Duby, op. cit., idem.

[7] Philippe Aries & Georges Duby, op. cit., p. 412.

[8] Philippe Aries & Georges Duby, op. cit., idem.